I segreti de L’Aquila antica: da Amiternum a Bazzano

L’Aquila è una terra ricca di storia. Linea guida del nostro viaggio nel cuore segreto dell’Abruzzo aquilano è l’autostrada A24 Roma-L’Aquila-Teramo. Allo svincolo che si trova all’uscita del casello L’Aquila Ovest voltate a sinistra e poi subito di nuovo a sinistra, imboccando così la statale 80 in direzione Pizzoli. Dopo circa 8 Km, superato il bivio per San Vittorino, sarete nel territorio di quella che fu la ricca Amiternum.

I ludi di Amiternum

Oltre 2000 anni fa quest’area era abitata dai Sabini, popolo forte dedito alla pastorizia e all’agricoltura, e qui sorgeva la loro città. Essa fu conquistata dai Romani all’inizio del III secolo a.C., divenne poi prefettura fino all’età di Augusto, e infine nel I sec. a.C. fu fiorente municipium della tribù Quirina. Conobbe lunghi periodi di prosperità evidenziati dal suo assetto urbanistico ben sviluppato e dai numerosi grandi edifici pubblici. Di quell’antico splendore restano oggi un teatro ed un anfiteatro, oltre a poche vestigia di terme e di un acquedotto, quello delle aquae Arentani. Il teatro si scorge sulla destra, giungendo da L’Aquila, poche centinaia di metri prima della frazione di Cermone. Le sue dimensioni sono monumentali, segno evidente dell’importanza raggiunta dalla città. La struttura fu costruita in età augustea e poteva contenere oltre 2000 spettatori. Essi trovavano posto sui gradini della cavea, composta da due ordini di gradinate, uno inferiore scavato nella collina e uno superiore in muratura. Del teatro si conservano la gradinata bassa della cavea, parte del piano dov’era l’orchestra e le murature di base della scena.
L’anfiteatro, situato lungo il corso del fiume Aterno, è ancora oggi maestoso allo sguardo di chi percorre la strada che dalla frazione Cermone porta al borgo di Preturo. Fu costruito, a poche centinaia di metri dal teatro, attorno alla metà del I secolo d.C. come testimonia la sua struttura, realizzata in opera cementizia e rivestita poi con mattoni rossi. Le 48 arcate che si aprono lungo la sua circonferenza sostenevano numerosi ordini di gradinate, oggi scomparse, per una capienza complessiva di oltre 6000 posti. Probabilmente, come ad Alba Fucens, al suo interno si svolgevano spettacoli di gladiatori.

Le catacombe di San Vittorino

Un gran numero di blocchi di pietra e di elementi architettonici provenienti da Amiternum è stato riutilizzato nel corso dei secoli per costruire il vicino borgo di San Vittorino, e in particolare la chiesa di San Michele Arcangelo, che cela nei suoi sotterranei un suggestivo segreto. Fu edificata infatti sopra le più grandi catacombe paleocristiane esistenti in Abruzzo, dedicate a San Vittorino poichè nate attorno alla tomba del martire che qui fu sepolto. La struttura sotterranea segue una sorta di percorso, con ingressi alle due estremità, uno dei quali si apre nei pressi del presbiterio rialzato di quella che fu la primitiva basilica. Dal primo ambiente, dove si trova la tomba del Santo, si può accedere ad una grotta con molte antiche tombe scavate nella roccia, oppure seguire il percorso attraversando una suggestiva sala la cui volta è retta da colonne provenienti da Amiternum e che conserva numerose iscrizioni romane incastonate nelle pareti. Su un lato si trova inoltre un altare con un bell’affresco, databile al XV secolo, raffigurante la Madonna col Bambino e San Giovanni.

Quodvultdeus e il Santo

La costruzione di un monumento sulla tomba del martire San Vittorino, avvenuta nel V sec. d.C. riutilizzando blocchi prelevati da edifici romani, viene attribuita ad un vescovo devoto di nome Quodvultdeus. Sulla facciata della lastra frontale della tomba è scolpita una scena sacra dai forti simbolismi. Nella fascia alta si trovano due uomini che reggono una sorta di tabella con un iscrizione. Si ritiene che l’anziano dal volto scarno vestito di tunica e pallio rappresenti l’apostolo Pietro, mentre il giovane dai capelli ricci, col pallio che gli ricade ampio dietro la spalla sinistra, sia San Paolo. Al centro è invece collocato Cristo, seduto sul globo, mentre tende la mano ad un uomo. Alla sua destra un secondo uomo sta per poggiargli la mano sulla spalla. Alla sinistra del gruppo vi e’ un terzo personaggio che acclama, e sullo sfondo tre palme. Probabilmente la scena rappresenta l’arrivo di Quodvultdeus in paradiso accolto da Cristo che gli tende la mano, mentre San Vittorino, a sinistra del Salvatore, intercede per l’anima del vescovo defunto.

L’Aquila di Federico II

Fu l’imperatore Federico Il di Svevia a volere, attorno al 1245, che i tanti borghi fortificati della valle dell’Aterno, 99 secondo la leggenda, unissero le loro risorse per dar vita a una nuova città, un vasto nucleo abitato fortificato che fosse per loro sicuro rifugio e motore di sviluppo di quelle remote contrade. Ma toccò poi a Corrado IV, nel 1253, poco prima della sua morte, il privilegio di vedere realizzato il sogno di Federico.

L’Aquila ebbe subito grande autonomia e in breve raggiunse una notevole importanza politica e militare, tant’è che Alessandro IV Papa, nel 1257, vi trasferì l’antica sede vescovile di Forcona. Nel 1294, nella basilica di Collemaggio da poco ultimata, l’eremita Pietro Angeleri da Morrone divenne Papa con il nome di Celestino V, per poi rinunciare dopo breve tempo; a lui Dante attribuì “il gran rifiuto”

Non c’è da stupirsi della miriade di pregevoli chiese, molte medievali, presenti a L’Aquila, ne della grande quantità di antiche fontane e di suggestive piazze. La leggenda vuole infatti che ognuno dei 99 castelli fondatori della città decise di costruire una chiesa, una piazza e una fontana che rappresentassero il borgo originario. Questo numero simbolico torna anche nella celebre fontana della Rivera, detta anche delle 99 Cannelle, simbolo della città assieme alla Basilica di Collemaggio.

L’Aquila è ricca di numerosi musei tra i quali, soprattutto per il suo moderno allestimento, va menzionato il Museo di Scienze Naturali ed Umane di San Giuliano, che si trova nell’omonimo convento, situato in posizione isolata poco fuori città ai piedi della montagna. Oltre a due interessanti collezioni, una naturalistiche e l’altra d’arte sacra, vi si trovano numerosi reperti archeologici e la ricostruzione di una tomba della necropoli di Fossa (Aq).

Museo nazionale d’Abruzzo

Dal punto di vista delle strutture museali, il vero fiore all’occhiello de L’Aquila è però il Museo Nazionale d’Abruzzo, ospitato nel maestoso Forte Spagnolo, detto per tradizione Castello cinquecentesco. Il museo nasce alla fine degli anni ’40 per raccogliere le più significative testimonianze dell’arte abruzzese e vi sono esposti oggetti di grande pregio: dalle suggestive icone e sculture lignee di età medievale a veri capolavori del rinascimento italiano, quali la croce processionale del Duomo di L’Aquila, opera del celebrato orafo Nicola da Guardiagrele, e il San Sebastiano ligneo di Silvestro dell’Aquila. La sezione archeologica è composta per lo più dai reperti raccolti negli scavi ottocenteschi di Amiternum e nel Settecento dal principe Francesco Caracciolo. Si segnalano alcuni pregevoli rilievi come il Calendario Amiternino, un corteo funebre e un ludo gladiatorio. In una grande sala è infine ospitato lo scheletro fossile, colossale e quasi integro, di un elefante primigenio appartenente alla specie archidiskodon meridionalis vestinus, diffusa nel pleistocene, scoperto a Scoppito.

Tra gli innumerevoli monumenti de L’Aquila vale senza ombra di dubbio visitare la chiesa di San Bernardino e la basilica di Collemaggio, che può convenientemente rappresentare l’ultima tappa della nostra visita alla città. Sulla sinistra della basilica si apre il tunnel stradale che, seguito da una breve discesa, ci porta fuori dal centro abitato immettendoci sulla statale in direzione di Pescara. Immediatamente sulla destra troviamo il bivio per Civita di Bagno.

I vescovi di Forcona

Come narrano le fonti storiche, nella pianura a sud-est de L’Aquila si trovava la medievale Civitas S. Maximi, in Comitatu Furconensi, l’antica Forcona, identificabile con la moderna frazione di Civita di Bagno. Nel VII secolo ebbe qui sede la diocesi Forconense e i suoi potenti vescovi vollero edificare una grande chiesa per celebrare la presenza di Dio in quelle terre. Nacque cosi l’antica cattedrale medievale di San Massimo in Forcona, costruita riutilizzando, come spesso abbiamo visto accadere in queste zone, materiali architettonici ed edilizi di epoca romana. Di questo possente edificio sacro, nato sulle rovine di una preesistente villa romana della quale sono tutt’oggi visibili ampie tracce, restano attualmente in piedi la torre fortificata, le mura perimetrali e le absidi. Di quel notevole passato sono giunte a noi altre testimonianze assai evidenti: tratti di antiche mura appaiono tra gli edifici moderni, le rovine di un complesso termale sono state inglobate nelle fondamenta della cinquecentesca Villa Oliva e nel corso dei secoli sono state scoperte numerose iscrizioni, per lo più funerarie e dedicatorie. Tutto questo lascia presupporre l’esistenza di un abitato romano, del quale si ignora però il nome. Va ricordato che in questa zona correvano la via Claudia Nova e la via Poplica Campana. Forcona faceva inoltre parte della praefectura amiternina, che comprendeva anche la vicina Forulii e numerose ville di campagna.

Il tempio delle acque

Le recenti indagini di scavo condotte sul colle che domina l’abitato dall’archeologa Rosanna Tuteri, della Soprintendenza Archeologica d’Abruzzo, hanno portato alla luce un grande edificio monumentale, risalente probabilmente all’età tardo-repubblicana, che mostra come la Forcona romana fosse ben più importante di quel che si pensava.
L’area archeologica sta svelando infatti una grandiosa opera di monumentalizzazione della collina stessa, compiuta dai romani con un intervento di regolarizzazione del pendio settentrionale di Colle Moritola e con la costruzione di una gigantesca e complessa struttura di rinforzo in muratura, composta da un grande terrazzamento artificiale destinato a ospitare numerosi edifici collegati fra loro. La scoperta di numerose canalizzazioni per l’acqua, di vasche di diversa profondità collocate su vari livelli, di alcune stanze decorate con mosaici, suggerisce un edificio nato per la raccolta e l’utilizzo delle acque provenienti dalle numerose sorgenti della zona. Ciò origina la recente ipotesi che questa struttura avesse una valenza sacra, una sorta di tempio delle acque sorto nello spirito di una religiosità popolare legata all’agricoltura, trasformato in epoca romana nella devozione a una divinità femminile quale Venere o Feronia.
L’area dello scavo non è ancora stata attrezzata per la visita, ma il grande edificio può facilmente essere ammirato dall’esterno del reticolato che lo protegge.
La strada che attraversa Civita di Bagno, proveniendo da L’Aquila, ci conduce al borgo di Monticchio e di qui verso la statale 17, che seguiamo in direzione L’Aquila per un paio di Km fino a raggiungere la frazione di Bazzano.

Il miracolo di Santa Giusta

Per portare la parola di Dio nelle terre ai piedi del Gran Sasso, nel III secolo d.C. giunsero in queste contrade della valle dell’Aterno due cristiani, Giustino e Fiorenzo. Nel 286 d.C. la figlia di quest’ultimo, Giusta, vergine cristiana, fu condannata al martirio e gettata in un forno ardente. Ma, secondo la tradizione popolare, ne uscì viva e fu poi uccisa a colpi di lancia. Per il miracolo la fanciulla fu santificata. Nel XII secolo, sulla sua venerata tomba, situata nel borgo di Bazzano, fu costruita l’attuale chiesa di Santa Giusta, edificata riusando numerosi blocchi in marmo romani provenienti dal vicino Vicus Offidius, villaggio fondato dalla popolazione dei Vestini. La chiave per accedervi, come recita un cartello affisso sul portone, è custodita dal parroco o dalla signora che abita nella casa di fronte. All’interno ammiriamo un interessante ciclo di affreschi di differente datazione e un pregevole ambone decorato, sul fronte, con l’Agnus Dei circondato dai quattro evangelisti. Uno sguardo attento alle colonne ci svela come in origine fossero anch’esse elementi architettonici di edifici romani. L’ingresso che porta alla cripta si apre sotto l’ambone. Scendendo, si notano numerosi elementi lapidei di epoca romana come colonne, blocchi lavorati e lapidi con iscrizioni. A sinistra, a fianco all’altare, si trova la grotta dedicata alla Santa, dove ancora oggi si conservano il forno del martirio e l’accesso alla catacomba dove ella fu seppellita insieme a San Giustino.